Il “Cortile dei Gentili” si è costituito nel 2009 su ispirazione di Benedetto XVI e sul modello di quello esistente negli anni 20-19 a.C. nell’antico tempio di Gerusalemme dove era uno spazio dedicato ai non ebrei (i Gentili” appunto) che si interrogavano e interrogavano i rabbini e i maestri della legge sul mistero e su Dio.
L’attuale “Cortile dei Gentili”, ospitato a Roma nella splendida Sala della Regina di Palazzo Montecitorio, è uno spazio di incontro e confronto attorno ai grandi temi dell’esistenza, come possibilità di dialogo e reciproca conoscenza tra il mondo dei credenti e quello dei non credenti.
E’ in questa bellissima cornice di… sapore museale che il 23 Maggio, su iniziativa della SIAARTI e della Fondazione “Cortile dei Gentili”, si è tenuto un convegno sul tema “I confini dei territori ai limiti della vita”, per me quasi un continuum di quello della SICP di cui al mio post precedente.
Mi è piaciuto in apertura dell’incontro, perché è proprio di un “i ncontro” che si è trattato, nello spirito del “Cortile dei Gentili”, sentire porre l’interrogativo se quella che noi identifichiamo come fine della vita sia un sipario che cala o l’inizio di una nuova vita.
Tanti sono stati gli spunti forniti per poter approfondire una tematica così importante nell’ottica sempre del rispetto per la dignità dell’uomo.
Oggi, nel territorio di fine vita non si tratta più tanto di dover decidere se fare o non fare quanto piuttosto di “fare altro” con modalità terapeutiche che consentano di accompagnare dignitosamente con scelte rispettose della volontà del morente e limitando per quanto possibile la medicalizzazione.
La cura deve avere senso, ragionevolezza, appropriatezza e deve essere proporzionale valutandone costi e benefici in termini di effetti collaterali.
La misura nella medicina e la responsabilità verso l’altro, che si determina con gesti concreti, consentiranno alla persona di vivere la propria morte in armonia con quella che è stata la sua vita.
Dopo valutazione della gravità della malattia,della qualità di vita e della quantità di dolore, bisogna rispettare il diritto della persona di poter decidere di lasciarsi morire interrompendo le cure.
Ma la relazione terapeutica e il rapporto di fiducia tra malato e curante sono fondamentali per consentire al morente di raggiungere un grado di consapevolezza che gli permetta di esprimere autonomamente le sue dichiarazioni anticipate di trattamento, concludendo la sua vita dignitosamente e con un senso di compiutezza.
Una riflessione sulla sofferenza ci è stata offerta da Mons. Andrea Manto geriatra e sacerdote, invitandoci ad accogliere la sofferenza come parte della vita umana e come aggancio alla trascendenza. La medicina può dominare il dolore al 90% ma la sofferenza è ineludibile. La risposta cristiana alla sofferenza è l’accompagnamento e noi, uomini di oggi, dobbiamo impegnarci per diventare i nuovi samaritani.
Questi sono solo alcuni flash su un incontro denso di significato, di interrogativi e di indicazioni ma mi sembra importante ancora evidenziare che nelle conclusioni finali è emerso quanto la nostra sia la prima generazione che affronta queste problematiche così importanti e così “sottili” ma spesso manca la formazione.
Queste occasioni di informazione, formazione e crescita personale sono quindi preziose e vanno colte in tutto il loro valore.
Marinella
P.S. La SIAARTI è la Società Italiana di Anestesia e Analgesia.
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