Il primo pensiero che fisso sulla carta riguarda la beffa che la vita ci riserva: accorgerci degli altri quando ormai il tempo scandisce sé stesso negli attimi dello spirito che annunciano già da lontano la fine di una tra le tante storie terrene… perché sempre troppo tardi, con l’affanno dei giorni che volano e si cristallizzano nel dolore della fine, perché non uno sguardo agli altri quando ancora è possibile vedere, ascoltare ed essere ascoltati, accompagnarci ed accompagnare, dare speranza, offrire serenamente consigli e saperli ascoltare, senza ribattere subito, già pronti al combattimento…perché sempre così sopra le righe… perché all’ultimo?
Il bellissimo incontro che nell’Aula Brasca del Policlinico Universitario “A. Gemelli” si è svolto grazie al Convegno Regionale SICP- Lazio, ha di nuovo portato la nostra attenzione sull’importanza di essere o divenire capaci, durante la vita, ad accompagnare nel percorso della malattia – lungo o breve che esso si presenti – non solo il paziente, il ferito a morte, ma anche il gruppo familiare che respira e vive all’intorno, rumorosamente o in sordina.
L’impegno non è solo riappropriarsi del significato della malattia, per ambedue le parti, del destino che la mette a parte per noi, ma anche ritrovare nel nostro intimo sentire quella capacità di ascolto (che al tempo delle favole era parte essenziale ), di volontà di perdono, di capacità di speranza, di rinnovata spiritualità, di dimensione diversa che trascende il materiale e abbraccia fini e valori ultimi, rapportandosi al momento presente, a Dio, alla natura, a sé stessi.
L’esigenza dell’ascolto per chi sta concludendo il proprio percorso è la capacità di un’improvvisa apertura all’altro da sé, è la capacità di questo “altro” di esserci, al momento e nel modo giusto, anche con il silenzio. Nell’operatore volontario questo traguardo è spesso frutto di un paziente lavoro in équipe, in cui ognuno è al tempo apportatore e dispensatore di spiritualità.
Ed è la mano che si tende ed aiuta a sostenersi. Soprattutto nella verità e nella coscienza di essa. Quanto vincente sarà per chi è nel pieno della battaglia sapere chi sta combattendo, e come intende far sentire la sua voce, ed insieme a lui la “famiglia”, non a scudo ma compagna di viaggio in un cammino che tutti nel tempo ci include. La necessità di informazione diventa costante presenza da cui scaturisce, anche se non facile, il passaggio dalla paura all’accettazione. Non perché non si combatta più ma si possa procedere ad armi pari.
…lo so, lo so che tu vincerai, ma non mi prenderai a sorpresa, alle spalle…saprò guardarti negli occhi…saprò morire di una morte dignitosa….
Adele