Così titolava un lungo ed interessante articolo della Dott.ssa Anna Maria Palma, il notiziario di FILE del mese di Marzo. L’avevo letto con profonda condivisione e avevo anche evidenziato alcuni concetti riguardanti l’ascolto profondo e la necessità di vivere l’evento morte ad occhi aperti, cioè in piena consapevolezza.
La formazione dei volontari del nostro settore prevede un ampio spazio dedicato e questi temi: il superamento della paura e l’elaborazione della nostra morte ci rendono capaci di accompagnare con serenità e con rispetto chi si avvicina alla fine della vita. Sono poi la formazione permanente e l’attività “sul campo” che ci fortificano e ci permettono di ascoltare, condividere, sostenere, aiutare, accompagnare, senza essere travolti dall’immensità della sofferenza altrui.
Tuttavia, pur con trenta anni di esperienza, se mi duole dover talvolta partecipare a un “teatrino” inscenato da familiari che non sono in grado di reggere la relazione con un congiunto consapevole, trovo ancora più difficile e delicato l’accompagnamento di coloro che sono a conoscenza di diagnosi e prognosi, che dicono di essere pronti e sereni e che quindi mi “invitano” in qualche modo a partecipare alla loro “preparazione” ma, all’improvviso lasciano emergere la …speranza di farcela ancora una volta! Talvolta queste speranze sono alimentate da curanti non appartenenti al mondo delle cure palliative!
Più di una volta mi sono trovata in qualche difficoltà e, pur agendo sempre con estrema prudenza e continuando ad imparare da eventuali sbagli, mi sono resa conto che nell’accompagnamento la regola d’oro è: ascoltare e al massimo, ridefinire. Niente di più.
Marinella